Ancora oggi i Matrimoni in Basilicata continuano ad essere giornate con ritmi incalzanti che coinvolgono sposi, amici e parenti. Momenti di piacevole felicità, tra ricchi buffet e menù interminabili, naturalmente accompagnati da band musicali per serenate e balli di gruppo.
Scoprire come si usava una volta e come questi si siano tramandati e cambiati si intuisce che il legame alle tradizioni è ancora molto forte.
Nella pienezza delle forze, raggiunta a venticinque anni, il giovane contadino si sposava, pur se fisicamente ben piantato, e la fidanzata fresca come una rosa, conveniva andare insieme dal “mago”. Che avrebbe recitato alcune formule per “legare loro il sangue”. Il non recarsi poteva far correre il rischio soprattutto al giovane, di sentirsi “slegato il sangue”, cioè inabile a consumare la prima notte di nozze.
“Capitava, a Salandra, che lo sposo si coricava sulla sedia vicino al focolare incapace di reagire, e la sposa piangeva la sventura che le era capitata. Appena mattina si avvertiva di tale cosa, e si correva dal mago” per fargli porre rimedio.
Procediamo per ordine, Con la carrozza del calzolaio, a piedi cioè, il corteo nuziale partiva da casa. Usciva prima lo sposo in mezzo a un gruppo di amici. Solo uomini. Seguiva a poca distanza la sposa tra un gruppo festoso di ragazze. Solo donne. Entrambi erano preceduti da allegre tamburellate utili a richiamare l’attenzione del vicinato.
A Grassano il padre dello sposo apriva il corteo e rendeva libero il suo passaggio dai bambini gettando loro dei confetti. Se durante il corteo nuziale si alzava il vento, si sussurrava allora che la sposa avrebbe litigato molto con la suocera! Lo soffiavano le bocche di Colobraro.
E sempre in questo paese, De Martino rilevava che gli sposi non si segnavano con l’acqua benedetta per il timore che in essa fosse stata disciolta qualche polverina affatturante “per effetto della quale l’atto sessuale non avrebbe potuto essere effettuato”. Dopo molte precauzioni prese durante il percorso, il corteo giungeva finalmente in chiesa. I “galantuomini”, quelli!, il matrimonio dei loro rampolli spesso e volentieri lo facevano celebrare in casa. Terminata la cerimonia, tutti dallo sposo. Li aspettava il pranzo nuziale. A Salandra, la sposa faceva un giro per le strade al braccio del sindaco, che così la “presentava” a tutto il paese.
Al termine, lo sposo se la riprendeva “sotto braccio e girava le strade passando sotto gli archi famosi di merletti e fiori, formati da due canne alte a piramide con merletti attaccati” e, intanto, le persone entusiaste di lu buone angurie (il buon augurio) gettavano “pugni di grano sugli sposi in segno di ricchezza. Altrove a ciò univano spari col fucile (Aliano, Gorgoglione, Grassano, Montescaglioso, San Mauro Forte, Stigliano, Tricarico, Tursi).
La sposa di Rotondella trovava ad aspettarla all’ingresso una bambina pronta a recitarle una poesiola di auguri. Al termine, fiori e confetti volavano per aria. Molto gentile era anche il gesto compiuto dalla sposa di Pomarico, Tricarico, Tursi: prima di entrare in casa, liberava in volo due colombe. E lei “colombella”, sulla soglia, riceveva in bocca dalla suocera un pezzo di dolce (Aliano e Miglionico), o un cucchiaino di zucchero (San Giorgio Lucano), o un quadratino di zucchero (Stigliano).
Bello da vedere, era la suocera a mettere per terra un dolce e farlo calpestare dalla nuora! Le insegnava a dominare in casa, ma con dolcezza (Grassano). Un poco più singolare era l’insegnamento dato a Incarico: qui la suocera affidava alla nuora una scure… in segno di comando. Finalmente gli sposi entravano in casa! A Montescaglioso lei, a un certo momento, si sedeva: era il segnale per iniziare a ricevere i doni dagli invitati. Lo sposo assisteva in piedi e poi ordinava la distribuzione dei tarallucci, bubbuniett’ e rosoli.
La cerimonia si concludeva con un lauto banchetto a cui erano ammessi solo i parenti dello sposo. Altrove partecipavano al pranzo parenti e amici (trenta-quaranta persone in tutto). Il banchetto non poteva che essere interminabile! Spesso era infiorettato da poetici e patetici brindisi, di solito a rima baciata, in onore della sposa, dello sposo, degli sposi, dei genitori, dei compari, dei parenti e affini.
Non raramente era allusivo. Come questo di Matera, per esempio: “Salùt e bona Pasque / c’u pesce nta la sacca, I abbass a la cantine I parecchi boti de vine, I magne, Iarde e ventreschke, I brindisi fazz a la uascezze” (“Salute e buona Pasqua / con il pesce dentro la tasca, / giù in cantina / [ci sono] parecchie botte di vino / sugna, lardo e ventresca, / brindisi faccio alla…”).
Al pranzo seguiva il ricevimento degli altri invitati. E tutti ballavano. Al suono della zampogna e del tamburello (Tricarico e Tursi). Altrove dell’”orchestrina” di pifferi, ciaramelle e fisarmonica. O di violino fisarmonica e chitarra, o di mandolino batteria e tromba. Le note modulate per far volare i piedi erano del valzer aggraziato, della mazurca variata, della polka saltellante, della tarantella spumeggiente. Per quest’ultima a Colobraro non mancava mai qualche “ballatore” che la scimmiottava per divertire gli invitati.
Più gentile era invece, a Matera e Miglionico, il “ballo dello specchio”: si faceva sedere al centro della sala una donna dandole in mano uno specchio; il maestro di sala sceglieva un cavaliere e lo conduccva alle spalle di lei. Lei, vista riflessa l’immagine dell’uomo, se gli piaceva ballava con lui, sennò prendeva il fazzoletto e faceva segno di cancellare l’immagine riflessa dallo specchio. fl festino nuziale terminava con la quadriglia. Poteva durare qualche ora per permettere a tutti gli invitati di ballare, a turno, per dieci minuti ciascuno.
A sera gli sposi raggiungevano la loro casa già premunita di ferro di cavallo, di corna d’animali al fine di salvaguardare l’uomo. Un atto gentile era compiuto dalla madre dello sposo a Colobraro, entrava per prima nella camera nuziale per attirare su di se gli effetti di un eventuale atto di magià che avrebbe potuto danneggiare… il figlio. Davanti alla porta della camera si era soliti mettere, fra i tanti amuleti che variavano a seconda del paese, la scopa. Le streghe non dovevano entrare. Altrove spargevano del sale sotto il materasso per salvaguardare la sposa dal malocchio e favorire la sua gravidanza. Che doveva essere messa in atto, per così dire, fin dalla prima notte. E per la buona pace di tutti, era bene che fossero lasciati visìbili i suoi segni.
Il giorno seguente, infatti, il letto riceveva un’ispezione da parte della suocera della sposa per vedere “se un grosso papavero faceva bella mostra di sé, dipinto sulle lenzuola: il pittore (lo sposo) aveva dipinto il suo papavero, lei (la sposa) ne era certa. Ed era pure un bel papavero! . La ragazza aveva perso la verginità! Il vicinato attendeva la notizia. E questa non poteva deludere le aspettative. Nessuno si sarebbe sognato di chiedere allo sposo l’illibatezza. Anzi… Ma tutti “dovevano” ignorare che lui, prima di sposarsi, quando avvertiva la sacrosanta necessità di “sbollire il sangue”, era andato di nascosto da quella femmina grassa e “pittata in faccia” di passaggio in paese una volta al mese e che ogni mese il prete la faceva mandare via dai carabinieri.
Ma il prete si ricordava di farla cacciare dopo un paio di giorni. La notte era finita. Il papavero era stato visto da tutti. Il rito nuziale era compiuto. Una nuova vita cominciava con nuovi segni, nuovi per gli sposi ma antico è il mondo